Situazione Politica-Istituzionale
Carissimi colleghi,
in questo ultimo periodo il governo è stato impegnato sulla legge di stabilità, sul jobs act, l’Italicum, sull’elezione del Presidente della Repubblica.
La discussione sull’osteopatia è ferma perché altre sono le priorità e noi ora non siamo fra quelle.
Noi però non siamo fermi con la nostra attività di lobbying e ci stiamo muovendo per posizionarci in modo da essere pronti a salire sul treno quando questo ripartirà.
Qual è la destinazione? Quella del riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria autonoma.
A livello del ministero della salute, dei politici e dell’opinione pubblica, l’idea che l’osteopatia sia una professione sanitaria è ormai condivisa. Questo garantisce innanzitutto l’utenza, risponde ad una richiesta di professionalità in una società che vede il cittadino sempre più informato e protagonista delle scelte sulla sua salute, dove maggiore è la necessità di risposte adeguate al progredire delle conoscenze, dei risultati della ricerca scientifica e della cultura. In un contesto in cui sono sempre maggiori e più qualificate le metodiche e le discipline che si occupano di prevenzione e di cura (sono in aumento i fisioterapisti e i medici che si specializzano in osteopatia o in altre discipline complementari alla medicina allopatica). L’osteopatia cerca di rispondere all’esigenza di progresso nella cultura e nella ricerca, come dimostrato dai risultati di efficacia già ottenuti con il trattamento manipolativo osteopatico nella lombalgia aspecifica, nella cervicalgia, e nella cefalea miotensiva, ma anche sostenendo i nuovi lavori pubblicati che si stanno indirizzando in ambito neonatale come la plagiocefalia, l’otite media, le problematiche respiratorie e gastrointestinali, gestite nell’ambito delle professioni sanitarie. L’osteopatia ha trovato spazio in un panorama di concorrenza e di difficoltà di collocamento sul mercato, perché dimostra competenze, professionalità e un’adeguata formazione.
Non rientrare a pieno titolo fra le professioni sanitarie, significherebbe rinunciare a tutto questo. Significherebbe NECESSARIAMENTE, avere un iter formativo non universitario e non professionalizzante con COMPETENZE che non autorizzano a gestire IN AUTONOMIA i pazienti di cui noi ci occupiamo attualmente e a cui indirizziamo i nostri trattamenti utilizzando tutte le tecniche che appartengono alla nostra disciplina.
Abbiamo lavorato 25 anni per guadagnarci una dignità come professionisti, abbiamo aperto un dialogo con medici, strutture ospedaliere, ambiti scientifici per produrre ricerca scientifica, per rivendicare la nostra professionalità, le nostre competenze. Abbiamo frequentato scuole a cui abbiamo chiesto di elevare i livelli di formazione su parametri indicati dall’OMS , quindi livelli universitari su 300 crediti formativi, utili e necessari per il corretto apprendimento della professione, imponendo agli studenti uno sforzo anche economico, con la prospettiva di essere professionisti di qualità per una professione sanitaria, non per un’attività lavorativa per la quale basta un corso di formazione professionale regionale come quello dei massofisioterapisti o dei massaggiatori capo bagnino.
I corsi regionali definiti di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), abilitano solo ad acquisire delle competenze tecniche, per imparare un “mestiere” e non una PROFESSIONE, la cui formazione NON può esser sviluppata in un numero di ore superiore a 1800/2000, in cui viene rilasciato un diploma di tecnico superiore (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 25/01/2008, art.7 comma1 e 2). Il percorso formativo per massaggiatore capo bagnino prevede un minimo di 1200 ore, suddiviso al massimo in 2 anni, le cui competenze non possono prevedere atti riservati ai professionisti sanitari e al cui termine sarà rilasciato un attestato di abilitazione all’esercizio dell’arte ausiliaria della professione sanitaria di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici, con valenza di qualifica professionale (DR 10043 del 6 ottobre 2009).
Sappiamo bene che cos’è l’osteopatia e quello che facciamo quotidianamente nei nostri ambulatori, per cui è inutile nascondersi dietro a giri di parole facendo credere che l’osteopatia sia un insieme di tecniche e non una disciplina sanitaria, creando solo confusione a danno dell’utenza dei professionisti e della professione. Sappiamo bene cosa vuol dire ogni giorno assumersi la responsabilità della salute dei nostri pazienti, dai neonati agli anziani. Sappiamo di quanta professionalità, di quanto studio abbiamo bisogno per dare loro una risposta sicura ed efficace. Lo sanno soprattutto quelli che da sempre lavorano con il solo titolo di osteopata, e solo con quello da anni portano avanti con coraggio e grande dignità, una battaglia seria e responsabile per il riconoscimento dell’osteopatia, per non nascondersi ma per rivendicare la propria identità di professionisti competenti e qualificati che si occupano a pieno titolo della gestione, cura e prevenzione dei pazienti che presentano una disfunzione somatica. Noi lavoriamo sulla salute.
Se l’osteopatia fosse riconosciuta fra le attività di interesse sanitario, i professionisti sanitari ( con laurea triennale o medici) in possesso di un diploma in osteopatia, o di master in osteopatia, saranno titolati a praticare l’osteopatia e faranno sicuramente la guerra (motivatamente) a quanti, senza laurea sanitaria, abuseranno di professione sanitaria, a meno che questi “tecnici osteopati” non dimostreranno di praticare solo dei massaggi, rinnegando che l’osteopatia è un sistema di cura che mira al ripristino della salute e non al semplice MANTENIMENTO DEL BENESSERE della persona attraverso un massaggio.
Chi potrebbe trarre vantaggio da una scelta di area diversa da quella delle professioni sanitarie, non sarebbe certo il professionista e tanto meno l’utente. Potrebbero essere quei professionisti, medici, specialisti in odontostomatologia, fisioterapisti, che già utilizzano i loro titoli pregressi per fare osteopatia, per presentarsi nei congressi, per insegnare osteopatia nelle università, e nei master universitari. Il problema non è volere una laurea o meno, ma la necessità di avere riconosciuto un profilo professionale che garantisca le nostre COMPETENZE e che ci permetta di svolgere a pieno titolo la nostra professione, per fare diagnosi osteopatica, cura e prevenzione su pazienti con problematiche disfunzionali, che esulano dalla condizione di salute. Per essere abilitati a queste competenze ci vuole una formazione universitaria professionalizzante. Qualsiasi percorso formativo che non rilasci una laurea sanitaria non porta ad essere una professione sanitaria, come affermato nella Costituzione della Repubblica Italiana all’art. 117.
L’obiettivo, chiaramente, è anche quello di occuparsi del pregresso e della salvaguardia della nostra cultura osteopatica. Questi argomenti sono NECESSARIAMENTE contemplati e compresi in una trattativa, il cui esito sarà anche il risultato della forza e del consenso che riusciremo a mettere in campo.
Per questo abbiamo incominciato a potenziare l’attività di comunicazione con i media sollecitando anche l’opinione pubblica verso un consenso nei confronti degli attuali professionisti dell’osteopatia e dei pazienti che si affidano alle nostre cure. Stiamo cercando di valorizzare il nostro lavoro, le nostre scuole, la nostra cultura. Diffondere conoscenza e presentarci con forza, unità e determinazione, senza arroganza o presunzione, nei diversi ambiti politici, e sociali, è la strada che ci potrà portare ad ottenere il riconoscimento sanitario della professione, la salvaguardia degli osteopati che da anni lavorano e che hanno promosso e diffuso l’osteopatia in Italia e la nostra cultura. Insieme, forti e consapevoli che molto dipenderà da quanto sapremo essere maturi e responsabili per rivendicare ciò che pensiamo ci appartenga.
Fiduciosa del vostro costante supporto, vi mando un caro saluto.
Il Presidente del Registro degli Osteopati d’Italia
Paola Sciomachen